La corsa agli armamenti è aumentata negli ultimi anni. Stimati in più di 23 miliardi gli investimenti per il 2017. Il record di Bersani: dal 1993 è  il ministro che ha destinato più risorse

 

SULLA CARTA nascono come navi a doppio uso, un ibrido destinato un po’ ad aiutare la Protezione civile in caso di calamità e un po’ a combattere. E così vengono presentate al Parlamento. Ma poco alla volta il progetto prende la forma di una nuova portaerei e i pattugliatori si trasformano in agguerrite fregate. Oppure sono prototipi di aereo ideati dalle aziende come iniziativa privata, senza che l’Aeronautica ne abbia manifestato l’esigenza; poi dopo qualche anno di tira e molla vengono acquistati a decine dallo Stato. Il tutto sotto gli occhi di senatori e deputati, molte volte distratti ma in alcuni casi fin troppo interessati. Tanto alla fine il conto tocca ai contribuenti. Già ma quanto paghiamo per le spese militari? La risposta non è semplice. Perché nei bilanci della Difesa ci sono anche i finanziamenti per i carabinieri e per altre attività che vanno dalla manutenzione dei fari al rifornimento idrico delle isole. Mentre gli armamenti si comprano grazie a consistenti elargizioni di altri ministeri e ci sono gli stanziamenti extra per le missioni all’estero. Un labirinto dove ora l’Osservatorio sulle spese militari italiane Mil€x (www.milex.org) cerca di trovare un filo grazie a un dossier elaborato da Enrico Piovesana e Francesco Vignarca. Con conclusioni sorprendenti.

Boom mimetizzato. Per il prossimo anno l’esborso complessivo viene stimato in 23 miliardi e 400 milioni, ossia 64 milioni di euro al giorno: un aumento dello 0,7 per cento rispetto alla dotazione del 2016 e di quasi il 2,3 per cento in più rispetto alle previsioni. Il criterio di calcolo elaborato dall’Osservatorio Mil€x – lo stesso che viene usato dagli organismi internazionali più accreditati – ribalta i luoghi comuni sui tagli alla Difesa: i fondi reali invece sarebbero aumentati del 21 per cento nell’ultimo decennio. Così nel 2017 solo per l’acquisto di strumenti per le forze di cielo, di terra e di mare si impiegheranno 5,6 miliardi di euro, ossia 15 milioni al giorno.

Il primato. Questa corsa agli armamenti viene alimentata soprattutto dal ministero dello Sviluppo Economico, il gran benefattore delle aziende belliche nostrane foraggiate negli anni della Seconda Repubblica con contratti per quasi 50 miliardi di euro. A sorpresa, nella classifica dei ministri più attivi in questo shopping dal 1993 a oggi, al primo posto spicca Pier Luigi Bersani che ha firmato finanziamenti per oltre 27 miliardi, seguito da Federica Guidi con 8 miliardi, Claudio Scajola con 6,5 miliardi ed Enrico Letta con quasi 4. Nonostante sia rimasta al potere per meno anni, la sinistra sembra avere largheggiato in questo canale di sovvenzione dell’industria militare. Che, nell’ordine, si indirizza principalmente verso Leonardo, ossia l’ex Finmeccanica, Fincantieri e Iveco.

L’epopea degli F-35. Certo, questi investimenti si traducono in 50 mila posti di lavoro e tanta ricerca tecnologica, con prodotti che in alcuni casi hanno ottenuto successi di export notevoli. Ma non sempre ai cittadini viene spiegato con chiarezza cosa compriamo e a che prezzo. Bisogna riconoscere che dall’arrivo di Roberta Pinotti al ministero i bilanci sono più trasparenti, resta però il problema dei contratti diluiti per decenni. Come l’epopea degli F-35: alla fine l’impegno a dimezzare la spesa votato dalle Camere sarà rispettato? L’Osservatorio ritiene di no e segnala come siano stati firmati ordini per otto supercaccia e versati acconti per altri sette, con una previsione complessiva di budget salita a 13,5 miliardi. Una parte degli F-35 – secondo il Rapporto – prima o poi salterà a bordo della Trieste, la nuova supernave da 1.100 milioni della Marina che si ritiene destinata a un futuro di portaerei, anche se ufficialmente è stata impostata come unità di sostegno agli sbarchi con una vocazione per i soccorsi umanitari.

Più graduati che truppa. Nonostante le cifre stratosferiche, i comandanti si lamentano di non avere soldi per la manutenzione e di faticare a garantire l’addestramento dei reparti. E non mentono. Nel 2017 oltre il 41 per cento delle risorse globali servirà per gli stipendi di un’armata che non si riesce a snellire: ci sono troppi graduati e poca truppa. Oggi si contano 90 mila comandanti contro 81 mila comandati; nel 2024 le proporzioni dovrebbero cambiare radicalmente, ammesso che si trovi un modo per ridurre 32 mila marescialli e 4500 ufficiali in otto anni. Finora le grandi manovre per destinare i marescialli ad altre amministrazioni – come i palazzi di giustizia o i musei – sono state una disfatta. Ministro e Stato Maggiore stanno tagliando molti comandi e di conseguenza il numero di poltrone per generali e ammiragli: la riduzione di un terzo pare però ancora fuori bersaglio. Infine c’è una voce nel bilancio 2017 che letteralmente decolla: quella dei voli di Stato, con un 50 per cento in più. Serviranno infatti ben 23 milioni e mezzo per il noleggio del nuovo Airbus presidenziale voluto da