Il Fondo europeo per la difesa assegnerà 8 miliardi in sette anni. Dopo la Francia, l’Italia è il secondo paese per numero di aziende e centri di ricerca coinvolti nel primo round di progetti, finanziati con 1,2 miliardi

Di soldi europei per sviluppare nuove tecnologie di guerra ne arriveranno a palate anche in Italia. Perché aziende e centri di ricerca nazionali si sono fatti avanti numerosi per finanziare progetti di innovazione in ambito bellico col Fondo europeo per la difesa (Edf), un programma di investimento comunitario che per il solo 2021 ha messo sul piatto 1,2 miliardi, scegliendo 60 tra le 134 proposte inviate. E oltre 900 milioni sono stati assegnati nel 2022. L’obiettivo di Bruxelles è mettere a fattor comune gli investimenti in tecnologie militari. Dal cloud all’intelligenza artificiale, dai sistemi per intercettare missili ipersonici alla difesa delle telecomunicazioni. E con i suoi 156 associati ai progetti, tra imprese, startup, università e centri di ricerca, l’Italia è seconda solo alla Francia per partecipazione ai lavori del fondo. Dei 61 progetti selezionati da Bruxelles nel 2021, cinque sono a guida tricolore.

Nato da un’idea del precedente presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, nel 2016 e avviato nel 2018, il fondo è il cuore del Piano di azione di difesa europeo, con cui per la prima volta l’Unione europea investe nell’industria dei sistemi d’arma: 8 miliardi di investimenti totali per il settennato 2021-2027. Cinque in meno di quelli previsti inizialmente, 13, sforbiciati per liberare risorse a favore della ripresa post Covid-19, ma comunque una somma notevole per il blocco comunitario che da un anno si è ritrovato con una guerra a pochi chilometri dai propri confini e armamenti non di ultima generazione in magazzino, tanto che, in parallelo, la stessa Nato ha varato un programma di reclutamento e finanziamento di startup e tecnologie di frontiera per recuperare il terreno perduto.

I fondi del 2021 saranno distribuiti tra progetti di ricerca e collaborazioni industriali. Ai primi 322 milioni, ai secondi 845. La fetta più consistente, 189,8 milioni, va a tecnologie per il settore dell’aeronautica. All’esercito 154,7 milioni e alla marina 103,5.

Il programma:

  1. La corvetta del futuro
  2. Nuovi sistemi aerei
  3. Un radar per tutte le occasioni
  4. Gli altri progetti made in Italy
  5. Palla alle università
  6.  Le strategie della Commissione
  7. Come si è arrivati al fondo per la difesa

La corvetta del futuro

Proprio in ambito navale si colloca il più consistente finanziamento affidato all’Italia: 65 milioni (di cui 60 coperti da fondi comunitari) per sviluppare in due anni il progetto di una corvetta europea per il pattugliamento dei mari (Epc). Bruxelles si aspetta di avere tra le mani un modello di una nave militare da usare in diversi contesti (la sorveglianza dei mari in primis), più efficiente dal punto di vista dei consumi e più sicura in termini di difese informatiche.

Al timone dei 14 partner del consorzio industriale c’è Naviris, joint venture al 50% di Fincantieri, il campione italiano della cantieristica navale, e Naval group, omologo francese. Entrambi i gruppi sono peraltro presenti singolarmente nella cordata, a cui partecipano numerose aziende greche. “Il programma – spiega Fincantieri – è finalizzato al futuro sviluppo di un’unità combattente di superficie di seconda linea di circa 110 metri di lunghezza e 3.000 tonnellate di dislocamento, in grado di sostituire classi di navi delle differenti marine nel prossimo futuro”. La cordata dovrà fornire un progetto concettuale della futura nave e una serie di dotazioni tecnologiche da imbarcare.

Il consorzio punta a dare il la ai lavori nella seconda metà del 2023, dopo la firma del contratto con l’Organizzazione per la cooperazione congiunta in materia di armamenti (Occar), a cui la Commissione ha affidato la gestione del programma, che coinvolge Italia, Francia, Spagna, Grecia, il Portogallo come osservatore e Danimarca e Norvegia come co-finanziatori. A disposizione due anni e nove linee di lavoro. Sarà l’Occar a gestire i fondi ed erogarli secondo le scadenze del contratto e percentuali predefinite in base al lavoro e al contributo dei Paesi coinvolti.

Nuovi sistemi aerei

L’altro grosso progetto a guida italiana è Neumann, il cui obiettivo è sviluppare nuovi sistemi di propulsione aerea per la sesta generazione di caccia militari. Sul piatto l’Europa mette 48 milioni di euro, per un piano che ne richiede almeno 56 e più di quattro anni di lavoro. In questo caso l’Italia spicca anche per numero di partecipanti, tra i 37 enti coinvolti. In cabina di regia c’è il gruppo Avio Aero, che fa componentistica per il settore aeronautico. Con Neumann vedranno la luce “tecnologie proprietarie europee non ancora disponibili nel framework industriale europeo, assicurandone l’autonomia strategica e destinate a costituire la base per futuri sviluppi nel settore” spiega l’azienda.

Come capofila del consorzio, Avio Aero “ha promosso la costituzione di un primo nucleo tra partner industriali e di ricerca che collaborano stabilmente e in modo complementare nel campo delle tecnologie afferenti gli obiettivi del progetto” per poi estendere la partecipazione ad altri soggetti rilevanti.

Del distretto dell’aerospazio piemontese, dove ha sede Avio Aero, fanno parte infatti anche la torinese Argotec (che ha sviluppato un satellite spedito con la missione Artemis della Nasa verso la Luna) e Atla. Mentre in rappresentanza di quello campano ci sono il Centro italiano ricerche aerospaziali (Cira) società pubblico-privata partecipata dal Cnr, la Aeromechs di Aversa, My Part meccanica di Avellino e la Dream Innovation di Caserta. Ancora: sono coinvolte la brianzola Blu Electronic, la fiorentina Morfo Design, la milanese General Impianti. Sul fronte universitario e della ricerca sono coinvolti il Consiglio nazionale della ricerca (Cnr), i Politecnici di Torino, Milano e Bari più gli atenei di Firenze, Salerno e Padova.

Un radar per tutte le occasioni

A Neumann collabora anche il colosso italiano dell’industria della difesa, Leonardo, a cui è stato assegnato il coordinamento di Arturo, un progetto triennale da 19 milioni interamente coperti da Bruxelles per sviluppare nuove capacità nel settore dei radar. In Italia l’ex Finmeccanica si avvarrà della consulenza del Consorzio nazionale interuniversitario per le telecomunicazione, dell’ateneo di Pavia, dei gruppi Echoes e Sensetech e della filiale italiana della tedesca Rheinmetall.

A Wired Leonardo spiega che il consorzio dovrà studiare una “nuova famiglia di sensori”, che possano essere impiegati in operazioni di terra, aria e mare. “L’ideale sarebbe quindi che, a partire da differenti aggregazioni degli stessi componenti hardware e software, si possano sviluppare sensori che assolvano a differenti missioni per i vari domini applicativi – spiega Leonardo -. Questo è possibile solo sfruttando appieno le possibilità offerte dalla digitalizzazione” con “l’applicazione di algoritmi basati sull’intelligenza artificiale”. Insomma, un radar per tutte le occasioni. Una delle ambizioni professate è “produrre dispositivi che utilizzino la stessa antenna per varie funzioni quali la sorveglianza, le comunicazioni e le funzioni di ascolto passivo dell’ambiente che circonda il radar (electronic support measures), riducendo quindi il numero di apparati e consentendo la gestione ottimale dello spettro elettromagnetico e la convivenza con le esigenze del mondo civile”, come cellulari o reti wifi.

Arturo aggrega 25 partner da 11 Paesi: Italia, Francia, Germania, Spagna, Svezia, Olanda, Polonia, Finlandia, Estonia, Lituania, Grecia. Leonardo avrà il compito di gestire i fondi e dettare i tempi della ricerca. “Siamo ancora in attesa di ricevere il documento (grant agreement) in cui la European defence agency stabilirà le linee guida e quindi i dettagli operativi attraverso i quali avverrà l’effettiva distribuzione dei fondi”, fa sapere l’azienda. Il programma esplorerà prima lo stato dell’arte della sensoristica radar, in modo da pescare le tecnologie più adatte a sviluppare la nuova generazione, fare prove pratiche e stabilire una tabella di marcia per arrivare al prodotto finito.

Gli altri progetti made in Italy

Infine 4,4 milioni è il valore del programma triennale Mosaic, progetto di ricerca, sviluppo e design di un sistema avanzato di monitoraggio e allerta per le minacce chimiche biologiche, affidato alla Fondazione Safe. Realtà no profit privata, era fino al 2019 un’associazione. Dal febbraio 2021 gestisce l’ex base militare Calvarina, in Veneto, dove attraverso più di 10 milioni di euro dei progetti Emeritus e Perivallon (finanziati con un round europeo di Horizon 2020) sta creando un polo di formazione dedicato alla sensoristica. Insieme a un consorzio pubblico privato composto anche da Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e il consorzio Creo (Centro ricerche elettro-ottiche), Safe “svilupperà capacità di campionamento innovative con sensori installati su veicoli e velivoli senza pilota in grado di operare in maniera autonoma o semi-autonoma”, commenta la fondazione. E aggiunge che sistemi di realtà virtuale (o estesa) forniranno una “mappatura in 3D delle aree interessate dalla contaminazione sia in ambienti interni che esterni” entro la fine del 2025. Fondazione Safe avrà in carico la spartizione dei fondi ma sarà ogni partner tecnico a inviare alla commissione report periodici sia tecnici che finanziari. Alla richiesta inviata da Wired circa l’identità dei componenti che compongono la fondazione, Safe non ha risposto.

Ammontano a 5 milioni di euro i fondi per il progetto Naucrates. La società romana di consulenza On Air Consulting & Solutions, guidata dall’ex deputato di centrodestra Marco Airaghi, coordina il consorzio che dovrà progettare un microsatellite invisibile ai sistemi di sorveglianza terrestre, dal peso di meno di 100 chili e una durata in orbita tra i 3 e i 5 anni, per catturare immagini terrestri con un livello di precisione di centimetri. L’azienda non ha risposto alle domande di Wired.

Solo la Francia annovera più aziende e università dell’Italia nei programmi Edf. La sua Thales è tra i nomi più ricorrenti nei progetti. Specializzata nell’elettronica aerospaziale e nel settore della sicurezza (anche cibernetica) partecipa alla corsa ai finanziamenti europei anche attraverso Thales Alenia Space, joint venture tra la casa madre (67%) e Leonardo (33%) e più grande produttrice di satelliti in Europa, che progetterà in consorzio con altre piccole e medie imprese sistemi satellitari per la geolocalizzazione.

Altro nome che salta all’occhio è Cy4gate, unica italiana nel progetto AInception del valore di 8 milioni di euro, nata come joint venture tra Elettronica Group (parte di Leonardo) ed Expert System nemmeno dieci anni fa ma che si pone l’obiettivo di competere con l’israeliana Nso e la statunitense Palantir. Vende servizi di intercettazione e intelligence per le forze armate, i governi e le aziende internazionali. Come riportato in un’inchiesta di Irpi Media, l’azienda ha registrato contratti con paesi come gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita, il Pakistan, l’America Latina, al centro di scandali legati all’abuso di tecnologie di sorveglianza su cittadini, attivisti e giornalisti. Nel progetto selezionato dalla Commissione europea sarà al fianco di Grecia, Norvegia, Olanda, Cipro e altri paesi per sviluppare strumenti e tecniche di rilevamento di intrusioni militari basate sull’intelligenza artificiale.

Palla alle università

A bordo dei progetti di Edf sono state imbarcate anche molte università. Perché, come spiega a Wired una fonte, con questo programma di finanziamenti l’idea della Commissione è quella di dotarsi di qualcosa di molto simile alla Darpa statunitense, l’Agenzia di progetti avanzati di ricerca in ambito difesa che ha sfornato innovazioni tecnologiche usate prima in ambito militare, ma poi distribuite in campo civile.

All’università di Firenze arriverà un milione di euro per la ricerca nell’ambito del programma Neumann. È coinvolto il gruppo di ricerca Htc group del dipartimento di ingegneria industriale, che, scrive l’ateneo, “collabora da oltre vent’anni con la società Ge Avio srl sui temi dello scambio termico e della combustione nei motori aeronautici. Presso il laboratorio Tht-Lab nella sede universitaria di Calenzano si trova anche il laboratorio congiunto ComHeat-Lab che ha consolidato questo rapporto”. Del progetto si occuperanno assegnisti di ricerca, ricercatori e tecnologi all’interno del gruppo coordinato dai docenti Bruno Facchini e Antonio Andreini. L’ateneo spera che “dalla disseminazione dei risultati potranno scaturire visibilità e ulteriori opportunità di collaborazione per il team di ricerca e il dipartimento”.

A Neumann partecipa anche il Politecnico di Torino, con il dipartimento di scienza applicata e tecnologie sotto la guida della professoressa Sara Biamino e il dipartimento energia, di cui è responsabile scientifica la professoressa Daniela Misul, e quello di Bari, che mette a disposizione il dipartimento di ingegneria elettrica e dell’informazione. Dall’ateneo torinese non arrivano specifiche sul budget assegnato dal consorzio ma “una parte sarà destinata a coprire le spese del personale che lavora al progetto e l’altra a co-finanziare borse di dottorato o assegni di ricerca”.

A collaborare con Avio Aero da tempo anche il politecnico barese, al quale arriveranno 240mila euro regolati da un accordo tra tutti i partecipanti del progetto. L’output, scrive l’ateneo, “verrà utilizzato al fine di aumentare il know-how nell’ambito della generazione efficiente di energia elettrica a bordo di velivoli”. Wired ha chiesto conto anche alle università di Pavia, Salerno, Padova e al Politecnico di Milano, senza ricevere risposta.

 Le strategie della Commissione

Ma come si entra nel giro di Edf? Fincantieri spiega che la scelta dei partner del suo consorzio risponde a due criteri. Primo: “Priorità per quelle aziende le cui nazioni di appartenenza hanno dato disponibilità a co-finanziare il programma”. Secondo: “Inclusione della più ampia possibile rappresentanza industriale di paesi della Comunità europea”. Per Leonardo la “plurinazionalità dei partecipanti” serve a garantire “la piena ‘copertura’ di tutte le esigenze tecnologiche”. D’altronde, quel che nasce sotto Edf potrà un domani essere commerciato nel più ampio numero di possibile di Paesi del blocco.

A Wired la Commissione fa sapere che le proposte sono state scremate sulla base di criteri come la capacità operativa o controlli preventivi sull’etica aziendale, e sulla base di due diligence condotte da funzionari dell’ente stesso e da un comitato di esperti, del quale però non è nota la composizione. Ma anche gli Stati “giocano un ruolo critico nella selezione delle proposte, dato che devono appoggiare – attraverso il comitato del programma Edf – i risultati della valutazione”. Ed è difficile immaginare che qualcuno siluri i propri connazionali.

Tra i motivi di inclusione vi è anche la capacità di ripartire il lavoro anche tra piccole e medie imprese. Più il progetto sa coinvolgere aziende di diversa stazza, più punti riceve. Tra i motivi di esclusione, invece, rientra la nazionalità: tutti i partner dei consorzi devono avere sede, operare ed essere controllati da società o enti dell’Unione europea o, unica eccezione, della Norvegia. Nessun altro paese extra-Ue è ammesso, salvo speciali casi in cui sono gli Stati stessi ad avallare la partecipazione di entità fuori dal perimetro del blocco. Un chiaro segnale della spinta di Bruxelles verso la cosiddetta sovranità tecnologica, mantra delle politiche comunitarie (basti pensare al recente fondo dei fondi per finanziare unicorni) per sottrarre tecnologie di frontiera, come quelli militari, all’interesse di nazioni extra-Ue. Stati Uniti e Cina in primis. Altro paio di maniche è l’esportazione, nei confronti della quale invece non ci sono specifici limiti.

La Commissione, spiega un funzionario, assegna all’avvio del progetto al capofila del consorzio “una percentuale di pre-finanziamento della somma totale”. Al capo cordata spetta invece la ripartizione dei fondi verso gli altri componenti, secondo le necessità. Alla valutazione finale dei report tecnici e finanziari, la Commissione valuta se saldare il conto. In corso d’opera sono consentite modifiche, ma Bruxelles non ammette di spendere più del previsto. Tutte le aziende che hanno ricevuto fondi nel 2021 potranno essere insignite di nuovi finanziamenti, dato che Edf non pone limiti ai bandi ai quali si può partecipare.

Come si è arrivati al fondo per la difesa

Tra il 2019 e il 2020 due iniziative hanno preparato il terreno a Edf. La prima è l’Azione preparatoria sulla ricerca nella difesa (Padr), valore 90 milioni di euro. L’Italia ne ha incassati 13 per finanziare 10 dei trenta progetti presentati. La seconda è il Programma di sviluppo industriale per la difesa europea (Edip). Sul piatto 500 milioni per il biennio 2019-20. l’Italia ha portato a casa il ruolo di capofila in sei progetti riguardanti soprattutto lo sviluppo di tecnologie di simulazione per scenari di guerra, sensori e sistemi per la contro offensiva in caso di attacco tramite droni. Le aziende coinvolte in qualità di capofila sono state Leonardo, E-geos, Vitrociset, Elettronica spa (di proprietà di Leonardo) e la Fondazione Safe, all’epoca associazione.

Stando ai dati raccolti dal Network europeo contro la vendita di armi (Enaat), la fetta più grande della torta dei finanziamenti precursori all’Edf è andata a 15 tra aziende e centri di ricerca delle potenze militari europee: produttori di armamenti come Thales, Airbus, e appunto l’italiana Leonardo (quasi il 10%), ma anche grandi compagnie come Indra, Safran e Saab. La Commissione ha previsto anche un gruppo di esperti dedicato alla valutazione dei primi passi del progetto. Nel 2016, a dare l’ok alla struttura di Padr e Edidp c’erano il capo della politica estera dell’Unione, Federica Mogherini e, tra gli altri, proprio gli amministratori delegati di Indra, Mbda, Saab, Airbus, Tno, Bae System e Leonardo. A luglio 2017 l’Ombudsman comunitario, Emily O’Reilly, che si incarica di indagare sui reclami dei cittadini, ha denunciato una situazione di conflitto di interessi, le scarse informazioni divulgate da Bruxelles e la poca trasparenza sul gruppo di esperti.

Secondo Francesco Vignarca, portavoce dell’Osservatorio Milex (centro studi sulle spese militari), i finanziamenti comunitari alla difesa “sono presentati sotto un punto di vista industriale, e non di difesa in sé e per sé. Richiedere all’industria del settore di produrre sistemi d’arma senza un indirizzo comune di politica estera significa creare strumenti potenzialmente non funzionali allo scopo, questione che potrebbe indebolire il processo di difesa europeo”. O risolversi in soldi buttati, se il prodotto finito non risponderà alle politiche europee.

La Commissione, d’altronde, ha vagliato proposte altrui. La mancanza di regia da parte dell’Unione potrebbe “foraggiare una corsa agli armamenti, perché se ciò che l’industria ha creato non collima con le esigenze di difesa la strada sarà quella dell’esportazione – continua Vignarca -. Avere creato sistemi d’arma con il bollino europeo poi non farà altro che facilitare la vendita altrove”. Tra i principali clienti di armi made in Europe ci sono India, Pakistan, Qatar, Kuwait e altri paesi del Medio oriente dove la democrazia non è direttamente proporzionale ai soldi da spendere in difesa.