Guerre e frontiere. 766 milioni è il costo del programma di produzione e acquisto dei velivoli senza pilota (fino al 2023) proposto in campagna elettorale dai ministeri Difesa e Economia. Ora il Parlamento deve decidere

Piccoli, veloci e senza pilota, i primi droni progettati per missioni di lunga durata e medie altitudini costruiti da Leonardo-Finmeccanica insieme a Piaggio Aerospace potranno solcare i cieli disperatamente azzurri di questa estate italiana, in particolare i cieli siculi attorno all’aeroporto civile-militare di Trapani Birgi, scalo di compagnie low-cost.

Questi droni orgogliosamente patriottici, in linea con il refrain dell’estate, – l’unica partecipazione estera è Thales al 33% dentro Telespazio, responsabile della trasmissione a terra dei dati raccolti per via satellitare tramite il centro spaziale del Fucino – sono lunghi e larghi circa 15 metri e possono avere un duplice utilizzo, dual-use , sia civile sia miliare, ad esempio di spionaggio o di ricognizione dei mari e delle coste per intercettare barconi di contrabbandieri o – a seconda del comando – dei gommoni di migranti, per salvarli o dirottarli, sempre a seconda degli ordini.

Si tratta di prototipi di modelli P1hh a pilotaggio remoto, droni classe Male (medium altitude long endurance) che il ministero della Difesa ha acquistato per un importo da 766 milioni di euro in numero di 20 esemplari, ma per ora solo poche unità sarebbero state prodotte negli stabilimenti della provincia di Savona, per una commessa che l’Italia pagherà fino al 2032. Si sa che hanno appena finito il loro primo «rodaggio», a fine maggio: ne dà notizia il sito Analisi Difesa omettendo i costi, che invece sono riportati dall’ultimo rapporto Milex, di qualche giorno fa, dell’Osservatorio sulle spese militari.

Il rapporto dell’Osservatorio che fa parte della Rete Disarmo si concentra per altro sui più temibili P2hh, droni sempre di fabbricazione Piaggio Aerospace e Leonardo, ancora più sofisticati e armabili scelti dal ministero della Difesa per sostituire di Predator e Reaper – cioè “predatori” e “mietitori” -statunitensi e proposti al Parlamento per una nuova commessa in piena campagna elettorale come sfoggio muscolare del governo Gentiloni alle prese con la tematica della «sicurezza», tanto cara anche all’ex ministro Minniti, e seguendo la sensibilità alle commesse belliche della collega Pinotti. Con questi altri droni il costo dell’intero programma, su cui ora il Parlamento della XVII legislatura è chiamato ora a dare il suo Sì o No, raddoppierebbe, attestandosi su una spesa di almeno 1.434 milioni di euro fino al 2023.

Per altro nella relazione al Parlamento dei ministeri della Difesa e dell’Economia si dice apertamente che il piano di acquisto, e quindi di spesa pubblica, è funzionale quasi solo a vendere questi droni all’estero (alla Turchia? al Niger?). Si legge poi che «non risultano quantificabili» i posti di lavoro, italianissimi, che genererebbero.

 

Pubblicato su il Manifesto il 2 giugno 2018 – di Rachele Gonnelli