Articolo di Lorenzo Giarelli per il Fatto Quotidiano

Secondo Giorgia Meloni, “raccontare che l’Italia sta spendendo soldi per mandare armi in Ucraina” è solo “puerile propaganda”. Dati ufficiali non ce ne sono, ma le stime di alcuni osservatori indipendenti dicono tutt’altro: l’Italia ha già mandato aiuti militari a Kiev per oltre 1 miliardo, un valore che provocherà (e in parte ha già provocato) un identico aumento delle spese per la Difesa, tra ripristino delle scorte e contributi finanziari al settore.

Appare difficile dunque seguire il ragionamento della premier, che ieri in Senato è stata netta: “L’Italia sta inviando all’Ucraina materiali e componenti già in suo possesso. Raccontare agli italiani che se non fornissimo le armi all’Ucraina si potrebbero aumentare le pensioni o tagliare le tasse è una menzogna”. Al netto della destinazione dei soldi risparmiati, non si può certo dire che l’Italia se la stia cavando soltanto con lo sgombero dei magazzini. A fare ordine ci prova Francesco Vignarca, tra i fondatori della Rete Pace e Disarmo e di Milex, l’osservatorio sulle spese militari italiane: “Dopo l’ultimo decreto Armi (il sesto, ndr), abbiamo stimato in almeno 800 milioni le spese finora sostenute dall’Italia”.
Si tratta di una valutazione che tiene insieme due macro-aree di spesa. La prima riguarda il materiale inviato a Kiev: “Meloni dice che dovevamo svuotare i magazzini – ragiona Vignarca – ma è vero solo in parte, perché per esempio il Samp T, il sistema di difesa missilistico donato con l’ultimo decreto, è materiale nuovissimo”. E le armi inviate vanno sostituite. Non è una congettura, ma è quanto detto un mese fa dal ministro Guido Crosetto in audizione al Senato: “L’aiuto che abbiamo dato all’Ucraina ci impone di ripristinare le scorte che servono per la Difesa nazionale”. Anche
assumendo che non tutto il materiale inviato sia “coperto” da nuovi acquisti, parliamo di un totale di armi che un altro ministro, Antonio Tajani, a gennaio quantificava in “circa 1 miliardo”.

RICAPITOLANDO: abbiamo dato armi dal valore di oltre 1 miliardo (le parole di Tajani si riferivano ai primi cinque decreti), ma se pure ripristinassimo solo una parte del magazzino, il costo ipotizzato da Milex supera comunque i nove zeri.
Perché? Detto delle scorte da rimpolpare (e qui Milex prende un dato molto al ribasso anche rispetto alle dichiarazioni di Tajani, incrociando i dati di alcuni enti e arrivando a “soli” 500 milioni), c’è poi un contributo economico diretto da parte dell’Italia. Nel 2021 l’Unione europea ha infatti istituito l’European peace facility (Epf ), un fondo esterno al bilancio per gestire le spese in armamenti. Finora l’Ue ha stanziato 3,6 miliardi e l’Italia ha contribuito per circa il 12 per cento, ovvero 450 milioni.
A cosa serve questo fondo? In teoria, se l’Italia invia armi all’Ucraina, può chiedere all’Epf un rimborso. Ma non per questo gli invii sono gratis, come sostiene Meloni: “Si può chiedere il rimborso per il materiale inviato – spiega Vignarca – ma non per le spese sostenute per ripristinare le scorte. E comunque nel concreto l’Epf restituisce solo un 30-40 per cento”. Bastano poche nozioni di algebra e di logica per comprendere il meccanismo: se l’Italia manda a Kiev materiale che ai tempi pagò 100, ma che adesso presumibilmente vale meno (a maggior ragione se in magazzino da tempo), Epf restituisce, nella migliore delle ipotesi, 30 o 40. L’Italia però dovrà sostituire quel materiale, acquistandolo nuovo e spendendo la cifra intera. Complicato andarci in pari.

Il conto di Milex è presto fatto: “Mettiamo che abbiamo inviato materiale per 500 milioni, un dato più basso rispetto a quanto dichiarato da Tajani. Parte di questi soldi, ipotizziamo all’incirca 200 milioni, ci tornano attraverso l’Epf. Restano 300 milioni di spesa a cui aggiungere i 450 di contributi diretti al fondo, quindi ci avviciniamo agli 800 milioni”. E questo solo fino al sesto decreto, ma in realtà il dato è già obsoleto, se si pensa che l’Ue ha deciso di stanziare altri 2 miliardi per l’Epf e che l’Italia dovrà contribuire per la sua parte (più del 12 per cento). Morale: il conto supera già il miliardo.