Il dibattito sulle spese militari che si è sviluppato in vista del vertice NATO dell’Aia del 24-25 giugno che rivedrà al rialzo l’obiettivo del 2% del Pil concordato undici anni fa, si è concentrato sulla sostenibilità del nuovo benchmark – l’ipotesi del 5% al 2035 significa per l’Italia aumentare la spesa annua di 100 miliardi rispetto ad oggi, per un maggiore investimento decennale di oltre 400 miliardi – e sui modi per reperire i fondi necessari. Nessuno si è chiesto se questo parametro finanziario sia il più adeguato a misurare il reale contributo di ogni alleato alla sicurezza collettiva. 

Un dubbio che da anni si pongono invece i vertici militari americani, constatando che ci sono Paesi che, pur spendendo molto, non sono affidabili e in grado di fare la loro parte dal punto di vista della sicurezza comune. Da qui la ricerca di nuovi parametri in grado di andare oltre il mero input finanziario, misurando l’output capacitivo ogni alleato. 

Una ricerca che il Pentagono già anni fa aveva affidato al think tank californiano Rand Corporation e che ha portato all’elaborazione di un nuovo sistema di misura denominato Burdensharing Index e Burdensharing Ratio“Dimenticatevi del 2%: c’è un modo migliore di misurare il contributo alla sicurezza globale”, titolava un articolo sul Financial Times di qualche mese fa a firma del ricercatore a capo del team della Rand che ha ideato questo nuovo indice presentato in un rapporto l’anno scorso, dopo anni di lavoro e simulazioni basate dati del 2017-2018 (per questo nel rapporto le identità dei Paesi sono cifrate, ma Milex ne ha facilmente ricostruito l’identità).

L’indice fornisce una misura molto precisa del contributo attuale di ogni nazione al mantenimento della stabilità internazionale e del contributo potenziale in termini di prontezza in caso di conflitto maggiore. Non solo in ambito NATO ma considerando anche gli alleati asiatici degli Stati Uniti. 

Le metriche utilizzate sono l’effettiva prontezza operativa di uomini e mezzi (numero di truppe operative, quantità e qualità di armamenti terrestri, navali, aerei), l’efficienza dei sistemi di comunicazione (terrestri e satellitari) e cyberdifesa (sia militari che civili), lo stato della logistica e della mobilità militare (strade, ferrovie, aeroporti e porti), la capacità di comando congiunto, il grado di interoperabilità e di ospitalità fornita alle forze alleate, il livello di contribuzione alle missioni internazionali (non la spesa in termini assoluti); ancora, il costo economico per l’adesione a meccanismi sanzionatori e l’impegno nazionale in iniziative diplomatiche di prevenzione e soluzione dei conflitti.

Il Burdensharing Index consente di misurare, in termini assoluti, il contributo di ogni alleato alla difesa e alla sicurezza collettiva, secondo una classificazione in tre livelli: A sopra il 3, B tra il 2 e il 3, C sotto il 2. Per ponderare il contributo nazionale alle capacità di spesa relativa di ogni alleato, il valore dell’indice viene parametrato non al Pil nazionale, bensì al rapporto tra Pil nazionale e Pil complessivo degli alleati Nato e asiatici. Se questo parametro, denominato Burdensharing Ratio, è maggiore di 1 significa che l’alleato contribuisce più du quanto potrebbe, se inferiore potrebbe invece contribuire di più. I più performanti in assoluto sono quindi gli alleati di livello A che si trovano anche con un rapporto al Pil superiore a 1. 

Il quadro che ne emerge, come osservano i ricercatori della Rand, è sorprendente rispetto a quello risultante dal parametro NATO della sola spesa militare in percentuale al Pil. Tolti gli Stati Uniti (con un index di contribuzione di 46,5 che, parametrato alla quota Pil, determina un rapporto di 1,32), sette alleati su trentacinque (NATO e asiatici) hanno un indice di contribuzione assoluta di livello A (maggiore di 3), undici hanno una ratio di contribuzione maggiore di 1 e solo due alleati rispondono a entrambi i requisiti.

Ebbene, l’Italia – fanalino di coda nella tradizionale classifica Nato – dopo Usa e Giappone risulta il primo alleato NATO in termini di contribuzione assoluta con un Burdensharing Index di 4,75 superando in ambito NATO Francia (4,61), Regno Unito (3,54), Germania (2,51) e l’Olanda (2,23) e il settimo alleato Nato in termini di contribuzione rapportata alla sua capacità di spesa con un Burdensharing Ratio di 1,12 posizionandosi in ambito Nato dopo Grecia (5,29), Lituania (4,19), Bulgaria (2,4), Slovacchia (1,86), Ungheria (1,46) e Olanda (1,35) e davanti a Turchia (1.11), Polonia (1,08), Francia (0,88), Estonia (0,8), Danimarca (0,76), Regno Unito (0,67) Belgio (0,65) Canada (0,39) e Germania (0,33). Quindi, il nostro Paese contribuisce già oltre le sue capacità e dunque non gli sarebbe richiesto alcuno sforzo maggiore. L’Italia risulta anche l’unico alleato Nato di livello A con un rapporto maggiore di 1 (l’altro è la Corea del Sud).

E’ molto importante tenere presente che, nonostante la simulazione si basi su dati relativi a qualche anno fa, il ricercatore senior della Rand che ha coordinato lo studio, King Mallory, scrive sul Financial Times che l’Italia mantiene un rapporto maggiore di 1 anche attualizzando l’indice con i dati più recenti (2023).