Dentro gli “affari correnti”. Il ministro della Difesa Guerini (Pd) con i presidenti Rizzo (IpF) e Pinotti (Pd) mette sulla campagna elettorale 20 programmi di acquisto pluriennali

Di Nicola Borzi per il Fatto Quotidiano

Con la guerra in Ucraina come alibi, il delitto scatta a Camere sciolte – ma con il voto unanime dei parlamentari –, quando il governo dovrebbe occuparsi solo degli affari correnti, mentre gli elettori sono distratti dalla crisi economica. Con la spinta determinante del ministro uscente della Difesa, il pidino Lorenzo Guerini, e la volonterosa assistenza dei presidenti delle Commissioni di Camera (Gianluca Rizzo, Insieme per il Futuro) e Senato (Roberta Pinotti, Pd), l’esecutivo Draghi lascia la sua impronta digitale sull’ultimo colpo di acceleratore al riarmo, in una corsa già lanciata dal 2021, approvando programmi di acquisto di armamenti per un miliardo e calendarizzandone la discussione di altri per 6 miliardi, con il totale annuale che sale a oltre 12,5, destinati a crescere ulteriormente però sino a 22 in base ai piani pluriennali già impostati. Alla faccia delle elezioni del 25 settembre, queste decisioni impegneranno anche i prossimi governi. D’altronde negli ultimi due anni non un solo parlamentare risulta aver votato contro a questi piani, che fosse per l’ideale pacifista o per più prosaiche ragioni di risparmio sul budget, sostengono gli esperti di Milex, l’osservatorio sulle spese militari che ha pubblicato i dati.

DALLO SCIOGLIMENTO delle Camere dello scorso 21 luglio a oggi, il ministro Guerini ha sottoposto al Parlamento oltre 20 programmi di riarmo per un investimento totale pluriennale, già prefigurato, di 22 miliardi. Decisioni che impegnano fondi su futuri vari bilanci dello Stato, proposte e discusse da un governo che dovrebbe limitarsi al “disbrigo degli affari correnti”, in attesa di nuove elezioni. Cinque programmi (scudo antimissile, armamento dei droni Predator, acquisto di elicotteri per i carabinieri, sistemi di ricognizione aerea, razzi anticarro), per una spesa pluriennale di quasi un miliardo, sono stati presentati al Parlamento il 26 luglio e approvati velocemente (e all’unanimità) dalle Commissioni Difesa di Senato e Camera rispettivamente il 2 e 3 agosto. Altri sei programmi (per la Marina ammodernamento degli elicotteri, nuovi pattugliatori e cacciamine, missili antiaerei, ammodernamento di cacciatorpedinieri; carri armati per l’Esercito) per una spesa pluriennale di oltre 6 miliardi sono stati presentati dal ministero tra il 3 e il 10 agosto e calendarizzati per l’esame in commissione Difesa della Camera a partire da ieri. Altri 10 programmi (elicotteri d’addestramento, gestione droni, navi anfibie per la Marina, radiotrasmissioni, satelliti spia, bazooka, un sistema di piattaforma stratosferica, droni di sorveglianza, potenziamento di capacità per brigata tattica, nuovi carri armati leggeri) per una spesa pluriennale di oltre 5,5 miliardi sono infine stati inviati al Parlamento da Guerini il primo settembre. Non è chiaro se le Commissioni parlamentari arriveranno a calendarizzare i pareri (obbligatori) su questi atti del governo nei pochi giorni di vita restanti della XVIII legislatura (che invece ha per esempio già ammarato l’ergastolo ostativo). Ma non basta: a questa serie di richieste per nuovi sistemi d’arma concretizzate dopo lo scioglimento delle Camere, si deve aggiungere anche quella per l’ammodernamento e rinnovamento di un sistema satellitare Sicral3 presentata solo qualche giorno prima (11 luglio) per un controvalore di 345 milioni. Durante il 2022 sono poi stati votati, sempre all’unanimità, pareri positivi per programmi d’armamento “targati” 2021 per quasi altri 4 miliardi (per batterie missilistiche, navi cacciatorpediniere, blindati, blindati anfibi, carri armati) e un onere complessivo di circa 7,3 miliardi.

ALCUNI ESPERTI, che chiedono l’anonimato, spiegano che il numero di programmi presentati nell’ultimo mese supera quelli dell’intero 2021, che già era stato un anno record. A impressionare non è solo la fretta, il controvalore e il numero dei programmi, ma anche la dimensione simbolica, come nel caso dell’armamento dei droni, senza che siano state segnalate prese di distinguo politiche. L’onda emotiva per la guerra in Ucraina diventa la scusa per giustificare programmi già nel cassetto, presenti come piani per la difesa. Ma il legame con il conflitto tra Mosca e Kiev è del tutto strumentale, sostengono gli specialisti, come dimostra il fatto che questi programmi daranno frutti concreti solo tra svariati anni, anche una ventina, senza alcuna utilità effettiva immediata. I finanziamenti arrivano o dal bilancio ordinario della Difesa o da fondi straordinari delle ultime Finanziarie per altri ministeri, soprattutto dello Sviluppo economico soprattutto, come accade da fine anni 80. Si conferma così il trend in crescita degli stanziamenti pluriennali per il riarmo registrato nelle ultime Finanziarie, spiegano i tecnici, ma l’accelerazione imposta da Guerini non si era mai vista. A beneficiare dei finanziamenti (per la parte non secretata) saranno principalmente gruppi di imprese italiane, Leonardo e Fincantieri in testa, e tutta la componentistica, compresa l’Iveco del gruppo Exor degli Agnelli-Elkann, poi i giganti statunitensi e israeliani e alcuni consorzi europei del settore.

FRANCESCO VIGNARCA, coordinatore delle campagne di Rete pace disarmo, spiega che “questa corsa trafelata pone due elementi, uno che non stupisce e uno che stupisce. A non stupire è il fatto che questa grande mole di domande di nuovi sistemi d’arma è un trend già in atto dal 2021, quando se ne contarono 35 per un totale confermato di oltre 16 miliardi. Nel 2022 il trend è proseguito con 22 programmi per oltre 12,5 miliardi. Dunque a oggi siano in un biennio a quasi 29 miliardi di spese approvate. A stupire è piuttosto che lo si faccia a Camere sciolte, con 21 nuove richieste su 22 presentate dopo il 21 luglio. Una mossa irrituale e scorretta perché si tratta di programmi pluriennali. Eppure da un biennio tutti questi programmi sono stati approvati all’unanimità, con i voti a favore anche dei parlamentari di Fratelli d’Italia e M5S, cosa notevole in un Paese dove l’unanimità non c’è mai. Questo dimostra che sul procurement militare, come su molti altri fronti, il ruolo del Parlamento è ormai del tutto ancillare al traino del governo, che impone ciò che vuole allineandosi ai desideri delle industrie del settore”, conclude Vignarca. Il gioco delle lobby dispiega così tutta la sua potenza, lontano dagli occhi distratti degli elettori.